Aspettando il Lavoro, teatro dell’assurdo all’italiana

 

Io lavoro, tu lavori, egli lavora. Sembra la grammatica di un Paese che non esiste più. Oggi sarebbe più corretto dire: io stagista, tu precario, egli emigrato.

I nomi sono tanti: generazione 1000 euro (forse 750 euro per essere più realisti), generazione precaria, i diversamente occupati, l’esercito degli stagisti…e si potrebbe continuare all’infinito. Anche se a far più paura in Italia non sono le parole ma i numeri: 1 disoccupato su 2 è under 35.

Spesso si tratta di ragazzi passati attraverso il mondo universitario che tra esami sostenuti, erasmus e pile di libri accumulati si svegliano dal “sonno studentesco” con una secchiata d’acqua fredda in faccia. Al pari di Godot il lavoro si fa attendere assieme  al  riconoscimento di una laurea, che a parte commuovere i parenti di turno al cenone di  Natale, stenta a farsi valere sul mercato.

Giovani di brutte speranze?Pare di sì di questi tempi. Senza voler ulteriormente  cavalcare l’ondata di disfattismo che mortifica le prospettive dei ragazzi oggi, il viaggio  che la Penisola del lavoro che Non c’è vuole intraprendere è scoprire le storie dietro a quei numeri, sondando quell’enorme buco nero noto ai più come collegamento tra università e mondo del lavoro.

D.F.C

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